Il figlio del dolore

O figlio del dolore, o figlio mio,
altre tre volte fosti concepito
con grande amore da tua madre e io,
ma il crudo fato, sempre, ti ha rapito.

Ma quell'arcano che la terra mosse,
e che ci fece tutti a una maniera,
infine al nostro pianto si commosse,
e tu nascesti! ch'era primavera.

Ma le contrarie forze, dirompenti,
non se n'andaron ma restaron, invece,
e prima ch'esse fossero fuggenti,
recaron  duolo a te e a chi ti fece.

Non era ancora il tempo che Natura,
spontaneamente a nuova vita chiama,
così all'ottavo mese, creatura,
venisti con gran duolo a chi ti ama.

Il bisturi straziò quel caro grembo,
soffrendo, per averti, infine in fondo,
e fu attaccato di tua vita il lembo,
mentre, piangendo, abbandonavi il mondo.

Ancora combattesti con la morte,
nell'isoletta, spasmodico ed ansante,
ma della vita l'esecrate porte,
infine apristi, gioia, trionfante!

Così venisti, Stefano, tesoro,
superbo dono da sembrar divino,
non c'è gioielli, non esiste oro,
in tutto il mondo uguali al tuo visino.

Roseo germoglio, tutto mi commuovi,
ancora piango, adesso è pura guioia:
alzi un piedino, una manina muovi,
ti guardo a giorni interi senza noia.

Altro non curo, altro più non voglio,
tu sei il tutto, il tutto che completa,
tu sei la mia speranza e il mio orgoglio,
su questo miserabile pianeta.